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( votes)Analisi di pareri e pronunce su questioni attinenti all’attività contrattuale ed in genere all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti
Il contenimento delle spese imposto dal d.l. 66/2014, la rinegoziazione dei contratti e la relazione dei revisori
Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 227/2014 depositata il 29 luglio 2014
Indice
1. Premessa
2. Il riscontro della sezione
3. La rinegoziazione dei contratti
1. Premessa
La sezione di controllo della Lombardia, è stata escussa per un riscontro sulla tempistica della relazione – di competenza dei revisori – sugli obblighi di riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi imposti dal recente terzo decreto spending review, ovvero il d.l. 66/2014 come convertito – con modifiche – in legge n. 89/2014.
Il decreto legge in argomento – in particolare nell’articolo 47 – disponeva, in funzione del contenimento delle spese correnti degli enti locali (comprese, tra le altre, oltre ai comuni, le provincie, le città metropolitane e le regioni) alcune importanti azioni amministrative.
In particolare, la norma esigeva (ed esige nella sua attuale formulazione) la riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi, delle spese di consulenza e la riduzione delle consulenze e dei contratti di collaborazione.
Tra le maggiori problematicità poste dalla norma originaria del decreto legge 66/2014 – e comunque rimaste anche con la legge di conversione – deve essere ricompresa la previsione della riduzione dei contratti di forniture e servizi nella misura del 5% fino alla scadenza naturale del rapporto.
In relazione a quanto, il comma 8 dell’articolo 47 nel testo definitivo della legge di conversione n. 89/2014 prevede che le pubbliche amministrazioni, sostanzialmente, in assenza di ulteriori possibilità per contenere la spesa per gli acquisti, al fine di realizzare gli obiettivi di contenimento erano “autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e nella salvaguardia di quanto previsto dagli articoli 82, comma 3-bis, e 86, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 a ridurre gli importi dei contratti in essere nonché di quelli relativi a procedure di affidamento per cui sia già intervenuta l’aggiudicazione, anche provvisoria a ridurre gli importi dei contratti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione”.
Contestualmente, la norma faceva “salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione senza alcuna penalità da recesso verso l’amministrazione. Il recesso è comunicato all’Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest’ultima. In caso di recesso, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 nelle more dell’espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di centrali di committenza regionale o tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici”.
La disposizione ha posto immediatamente l’esigenza di chiarire se la riduzione del prezzo dei contratti dovesse intendersi come obbligatoria o come meramente facoltativa.
In realtà, a sommesso avviso, la norma risultava già chiara fin dal sua redazione nel decreto legge disponendo un chiaro obbligo di contenimento che – se non poteva essere raggiunto secondo altre modalità – imponeva necessariamente la riduzione dei contratti d’appalto.
E’ bene rilevare che gli stessi studi tecnici parlamentari rilevavano la natura sostanzialmente obbligatoria della previsione.
Sempre l’articolo 47 del decreto legge 66/2014 – al comma 13 – da qui il parere posto alla sezione, impone che l’avvenuto “taglio” della spesa venga certificata da apposita relazione dei revisori.
Il comune istante, avendo questo già approvato il disegno di bilancio in giunta comunale prima dell’entrata in vigore della terza spending review e quindi senza la prevista riduzione (la misura tra l’altro era rimessa ad uno specifico decreto ministeriale reso noto solo ad agosto), poneva un quesito sulla possibilità di approvare in consiglio comunale il bilancio senza la riduzione in parola rinviandola ad una successiva variazione di bilancio con successiva attestazione – in sede di salvaguardia degli equilibri o a consuntivo – dell’avvenuto adempimento.
Questo tipo di operazione, avrebbe consentito la celere approvazione del bilancio senza la necessità di rimodularlo per effetto degli obblighi sopravvenuti con il decreto legge 66/2014.
2. Il riscontro della sezione
La sezione ricostruisce dapprima l’articolato succedersi delle norme rilevando che “i commi 8 ss. dell’art. 47 del decreto legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, introducono un’articolata manovra di finanza pubblica volta, nel complesso, ad operare un contenimento della spesa degli enti locali. In particolare, i comuni devono assicurare – tramite la riduzione di determinate spese legislativamente indicate (spesa per beni e servizi, spesa per autovetture, spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa) – un contributo alla finanza pubblica pari a 375,6 milioni di euro per l’anno 2014 e 563,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017. A tal fine, il fondo di solidarietà comunale è corrispondentemente ridotto. Secondo la previsione normativa, poi, gli importi delle riduzioni di spesa per ciascun comune sono determinati, sulla base di criteri legislativamente predeterminati, con decreto del Ministro dell’interno, da emanarsi entro il termine del 30 giugno per l’anno 2014 e del 28 febbraio per gli anni successivi. Gli importi e i criteri stabiliti nel decreto legge possono essere modificati per ciascun comune, a invarianza di riduzione complessiva, dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali entro il 30 giugno, per l’anno 2014, ed entro il 31 gennaio, per gli anni successivi, sulla base dell’istruttoria condotta dall’A.N.C.I. e recepita con decreto del Ministro dell’interno. I Comuni possono rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione della disciplina legislativa che si sta descrivendo”.
Per effetto del momento in cui è stata emanata la disposizione in commento (il decreto legge è stato pubblicato in G.U. il 24 aprile), gli enti coinvolti si potevano trovare, o nella situazione dell’ente che ha richiesto il parere ovvero con un bilancio già definito oppure – per effetto delle numerose posposizioni della data di scadenza di approvazione dell’atto di programmazione – da ultimo fino al 30 settembre -, con un bilancio in fase di predisposizione.
Proprio considerando queste differenti realtà, lo stesso legislatore della terza spending – come bene evidenziato dalla sezione – ha previsto, nel demandare all’organo di controllo di regolarità amministrativa e contabile la verifica delle misure adottate, espressamente che la sede di tale verifica possa avvenire non necessariamente in fase di relazione al bilancio preventivo, come pure avrebbe ben potuto fare, ma “nella relazione di cui al comma 166 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266”, cioè nella relazione considerata da una disposizione che, come s’è visto, contempla unitariamente, invero, due diverse relazioni, una “sul bilancio di previsione dell’esercizio di competenza” e una “sul rendiconto dell’esercizio medesimo”, in tal modo lasciando aperta nelle diverse possibili evenienze la concreta individuazione della relazione in cui dare conto, ad opera dell’organo di controllo di regolarità amministrativa e contabile, della predetta verifica, secondo quanto verrà specificamente deciso, al riguardo, dalla Sezione Autonomie di questa Corte.
3. La rinegoziazione dei contratti
E’ proprio il parere in argomento, che ha rimarcato la necessità della relazione dei revisori per certificare (o meno) l’avvenuto adempimento dell’obbligo di contenimento che consente di esprimere alcune considerazioni pratico operative.
Come si è rilevato sopra, la norma imponeva uno specifico obbligo di contenimento della spesa per acquisti di beni o di servizi il cui adempimento per quanto concerne le modalità concrete di attuazione, veniva sostanzialmente rimesso all’autonomia degli enti interessati.
Nel fare questa operazione – ed è qui la corretta interpretazione – il legislatore ha autorizzato addirittura la riduzione dei contratti di forniture e servizi (a prestazioni continuative) nella misura minima del 5%, prevedendo, in caso di diniego della controparte, anche il recesso. In sostanza, la riduzione dei contratti si poneva come ulteriore possibilità a disposizione dell’ente pur di raggiungere l’obiettivo di contenimento (considerato che, una volta quantificato, l’importo sarebbe andato in riduzione dei trasferimenti spettanti all’amministrazione).
Messa in questi termini è del tutto evidente che l’operazione della rinegoziazione – peraltro in perfetta antitesi con la normativa interna e comunitaria – era da ritenersi a tutti gli effetti un autentico obbligo non disponendo, gli enti, sostanzialmente, di ulteriori misure di risparmio (se non l’aumento del prelievo fiscale).